Giuliana Santarelli, in dialogo con Tiziana Pironi
Santarelli:
Lo stato italiano,
fin dalla sua nascita, eredita problematiche dal dibattito
risorgimentale. Il Risorgimento trae origine dal movimento europeo di
rinascita intellettuale e politica che prese forma nell’Illuminismo
e nel Romanticismo. In questo periodo ebbero il via i primi tentativi
dello spirito critico nei confronti dei fenomeni sociali, mentre le
scoperte scientifiche consentirono agli uomini di conseguire un
controllo prima solo pensato sulla natura, problema che si impose
come cruciale per il tempo moderno. L’idea di avere più potenza
per via dello sviluppo scientifico e che questo avrebbe potuto
rappresentare un valore per tutti gli uomini, aprì la strada al
tentativo di esserne consapevoli mediante la forza e l’azione del
pensiero, mettendo da parte vecchie passioni e annose questioni più
idonee a dividere anziché a sostenere uno sforzo comune. La ragione
in questo momento appare una voce in campo etico per l’azione
critica che si propaga anche verso le relazioni umane e le tradizioni
culturali, per non alimentare lo iato già profondo fra tecnica e
vita sociale, su cui la prima poteva avere la meglio. Il motto
mazziniano Pensiero e azione sembrò indicare in Italia la
necessità di riorganizzare il corpo sociale alla luce dei nuovi
ideali.
Pironi:
Non va sottovalutato
che il problema vero del Risorgimento è la formazione dell’unità
nazionale e dunque di una coscienza nazionale. Proprio per questo si
rivela di primaria importanza l’esigenza di costruire una classe
dirigente. Infatti, per i liberali italiani senza classe dirigente
non c’è coscienza nazionale, senza coscienza nazionale non c’è
la nazione, senza la nazione non c’è una vita sociale. In questo
momento, non dobbiamo dimenticare il decisivo apporto dei cattolici
liberali, per i quali – basti pensare a Rosmini e a Gioberti –
non vi è incompatibilità tra civiltà e religione, istituto
religioso e istituto civile. Entrambi partecipano a una stessa vita
ideale, data dai valori comuni e universali della civiltà cristiana.
Ogni cambiamento non può che passare attraverso la formazione di una
classe dirigente che, in quanto classe dei “migliori”, intesa
come aristocrazia elettiva di talenti naturali, sappia assumere e
mediare le opposte e molteplici istanze in una forma politica
omnicomprensiva, rappresentata dall’istituto monarchico e dalla
Chiesa. E’ infatti per loro fuori discussione che alla Chiesa debba
essere assegnata una guida morale superiore quale espressione
concreta e visibile del cristianesimo, che riassume l’unità ideale
del mondo.
Comunque, per tutti
i liberali il primo problema consiste nella formazione di una classe
dirigente, che deve essere costruita tramite un’educazione/istruzione
inevitabilmente elitaria. Basti ricordare le posizioni di Cavour e di
De Sanctis, per i quali il popolo è immaturo per l’autogoverno:
sono pertanto necessari due livelli di istruzione (elitaria e
popolare), per cui la cultura popolare dovrà preparare
esclusivamente i lavoratori a svolgere una funzione produttiva.
Per i democratici,
invece - in modo particolare per Mazzini – è necessario porre la
giusta dialettica fra diritti e doveri, onde attivare lo sviluppo
della coscienza nazionale e civile. A giudizio dell’Apostolo
genovese l’istanza universale della democrazia esige l’attuazione
effettiva dell’uguaglianza politica e giuridica fra tutti i membri
del consorzio civile, la quale esclude la preminenza del diritto
individuale sul dovere collettivo. Consiste in questo la differenza
fra lo “spazio pubblico” del repubblicanesimo rispetto allo
“spazio privato” del liberalismo. Il che vuol dire che il dovere
è mezzo al diritto: si ottiene il diritto solo realizzando fino in
fondo il dovere.
Santarelli:
Le posizioni di
Mazzini furono criticate da Carlo Cattaneo perché l’agitatore
genovese sacrificava la libertà in nome del principio unitario
rappresentato dalla nazione. Per Cattaneo, invece, l’unità
non poteva essere separata dalla libertà. Cattaneo può
essere considerato, infatti, il più radicale pensatore del
liberalismo-democratico in Italia. Per questo il suo pensiero fu
accolto dagli internazionalisti liberi da ogni teologia e desiderio
di unità autoritaria. In merito alla legge Casati, fu Cattaneo a
rivendicare la libertà accademica e l’autonomia organizzativa,
vedendo al tempo stesso con favore le attività cooperative ai fini
dello sviluppo delle “menti associate”.
Pironi:
Proprio
richiamandosi alle istanze dell’autogoverno e della democrazia,
Cattaneo rivendicava l’effettiva funzione sociale della scuola in
favore dell’elevazione spirituale e materiale di tutti i cittadini.
Per questo egli riprende le premesse illuministiche sviluppate da
Romagnosi, nel considerare lo Stato un’entità giuridicamente
“neutra”, che fra i suoi doveri principali ha quello di garantire
la conquista dell’istruzione da parte di tutti, quale premessa
fondamentale alla libertà personale.
Santarelli:
Giandomenico
Romagnosi indicava nella società comunicante il compito principale
dell’incivilimento, compito che fu affrontato nell’Ottocento sia
sul terreno delle riforme scolastiche che su quello della
trasformazione politica e sociale.
Gli asili infantili,
il dibattito su una scuola pubblica elementare gratuita e
obbligatoria, l’idea di un’istruzione tecnica secondaria accanto
a quella classica e umanistica vanno considerati in stretto rapporto
con lo sviluppo del movimento socialista e dell’organizzazione
sindacale operaia. L’importanza assegnata all’educazione e alla
cultura sta insieme a quella del valore e della dignità del lavoro
e dei diritti della classe lavoratrice.
In senso lato, i
socialisti erano persuasi che l’educazione popolare potesse
eliminare il ruolo subordinato del lavoro del proletariato nella
società. I compiti della trasformazione sociale e della conquista
culturale vennero concepiti come interdipendenti; la rinascita
intellettuale e spirituale della classe operaia fu legata alla sua
partecipazione al movimento di emancipazione promosso dal socialismo.
Questa è l’origine dello stretto rapporto tra cambiamento
socio-politico e cultura popolare che continuerà nel tempo e
accompagnerà più di una riforma e movimento culturale. La pura
estensione del tempo libero non può porre un rimedio all’effetto
svalutante che il lavoro ha sulla esistenza dell’operaio, che così
non può accedere alla cultura e che deve contentarsi di surrogati.
Pironi:
Per i socialisti il
primo problema non era quello della formazione di una coscienza
nazionale e dunque della costruzione di una classe dirigente. La vera
questione era per loro l’emancipazione universale del proletariato
che, una volta realizzata, dissolverà ogni coscienza nazionale, ogni
costruzione nazionale, ogni formazione statale. L’obiettivo da
raggiungere era l’internazionale dei popoli e delle
culture-civiltà, superando ogni barriera nazionale, ogni formazione
statale (sono noti i celebri versi di Eugène Pottier,
socialista-anarchico, per l’Internazionale: “C’est la lutte
finale: / groupons-nous, et demain, / l’Internationale/ sera le
genre humaine”). Di qui, fin da subito, la netta incompatibilità
fra socialisti e liberali anche sui temi scolastici.
Santarelli
Nell’ultimo
decennio del secolo diciannovesimo il socialismo era vissuto dalla
classe dirigente italiana come una realtà minacciosa. Il Partito dei
lavoratori italiani fu fondato a Milano nel 1891; l’anno seguente
ci fu il congresso di Genova e nel congresso di Reggio Emilia, nel
1893, i socialisti definirono il loro programma, chiamandosi Partito
socialista dei lavoratori italiani e nel ’94 Partito socialista
italiano. Il periodo 1891-1900 si può definire il più grande per il
partito socialista, che si battè contro la politica autocratica
della monarchia e del governo. In quel periodo i socialisti
rappresentavano l’avanguardia, il progresso, la difesa delle masse
oppresse, la nuova cultura. Nel 1901, con l’avvento di Giolitti al
potere, l’ala riformista del partito, capeggiata da Turati diede il
proprio appoggio a una politica di riforme.
In merito al
problema scolastico, i socialisti si limitarono a chiedere per la
classe operaia un’istruzione elementare e post-elementare meglio
organizzata che in passato; ma in questo modo essi collaborarono a
mantenere a un basso livello la cultura popolare, conservando
l’antica divisione di due classi sociali con stili di vita e
educazione diversi. L’obiettivo è comunque quello di inserire
l’opera educativa nella situazione culturalmente arretrata a
lentissima evoluzione dell’Italia tra la fine dell’Ottocento e i
primi anni del Novecento.
Pironi:
In questo momento,
all’interno del partito socialista si rivelano due “anime”,
destinate a darsi sempre più battaglia fino ad aprire la strada al
fascismo: da una parte la linea espressa dal riformismo turatiano,
intenzionata a trovare una convergenza tra il proletariato e buona
parte del ceto medio, favorevole a un vasto programma di riforme
sociali; dall’altra, la linea espressa dal massimalismo che vede le
forze lavoratrici e le forze intellettuali in forte antagonismo tra
loro.
Sul piano delle
riforme, non va però dimenticato il contributo dei socialisti per il
miglioramento delle condizioni dell’istruzione di base; essi
contribuiscono in modo determinante al passaggio della scuola
elementare dalla gestione comunale allo Stato (Legge Daneo-Credaro,
1911); per non parlare della battaglia, condotta a più riprese,
soprattutto da parte delle insegnanti socialiste, per il superamento
della visione filantropico-caritatevole degli asili infantili,
chiedendo il loro passaggio al Ministero della Pubblica Istruzione,
nel pieno riconoscimento della loro funzione formativa.
In merito alla
questione relativa all’interesse prevalente dei socialisti nei
confronti dell’istruzione popolare e professionale, va rilevata la
significativa posizione del filosofo marxista Rodolfo Mondolfo, che
si oppose con forza a una scuola fondata sulla divaricazione tra due
culture (popolare e aristocratica). Per questo, egli entrò nel vivo
del dibattito scolastico, in età giolittiana, proponendo una scuola
media unica, senza latino, valorizzata nella sua funzione formativa,
aperta a tutti e non più differenziata in più indirizzi. La sua
prospettiva, avanzata agli inizi del 900 anticipò la legge del 1962
sulla scuola media unica obbligatoria.
Santarelli
In queste vicende si
mostra evidente la tradizione culturale laica italiana. L’esigenza
di libertà ed autonomia sta insieme a quella dell’unità,
dell’universalità, dell’internazionalismo. L’affermazione di
un ideale politico e educativo unisce le istanze di unità e libertà,
di universalità e autonomia e costituisce uno dei motivi più
significativi del pensiero laico dopo l’Unità d’Italia. Sulla
scia di Cattaneo, Gaetano Salvemini, sostenitore della libertà,
ritiene che l’idea di “nazione” mazziniana la sacrifichi in
nome del principio dell’unità. Salvemini, che riprende da Cattaneo
l’idea che l’unità è fatta di diversi e non può separarsi
dalla libertà, diede un forte contributo al dibattito scolastico in
Italia, soprattutto all’interno della Federazione Insegnanti
Nazionale Scuole Medie.
Agli inizi del
secolo scorso gli insegnanti delle scuole secondarie si associano
nella FINSM e rivendicano la loro autonomia in campo educativo e
organizzativo. Ne fanno parte, tra gli altri, studiosi come
Salvemini, i fratelli Mondolfo, Giovanni Gentile. Proprio
questi afferma che “la scuola deve essere una, e uno il programma
come uno è lo spirito”. Gentile pensava ad una scuola che
favorisse nella mente dei suoi giovani una visione unica e comune del
mondo, dove l’unità precede e condiziona la libertà, e trova
nelle scuole classiche e nelle università il suo centro,
rivolgendosi perciò non a tutti ma a pochi; al popolo
invece si addice un’educazione impartita dalla religione e dalla
Chiesa, che così prepara l’intervento dello Stato con le sue
scuole. Così Gentile scrive in Scuola e filosofia (1908):
“Lo Stato
ordinatore delle scuole dev’essere filosofo. Ad esso spetta
l’ufficio di fissare il programma delle scuole, in cui si
riflettono gli interessi generali della nazione. Lo Stato insegna
perché è, e in quanto è Spirito…quello spirito che è assoluta
universalità, negazione di ogni arbitrio e volere neutrale”.
Secondo questa
concezione lo Stato è coscienza della nazione e assume attributi
etici. Di fronte allo Stato e al Governo che lo rappresenta,
l’individuo non ha diritti, deve soltanto obbedire e credere. Per
contro, Gaetano Salvemini riaffermava, sulla scia di Cattaneo, il
metodo della ricerca scientifica, l’educazione alla libertà,
l’autonomia amministrativa e didattica della scuola. Una scuola
libera da ogni dogmatismo e profondamente laica si poneva come la
base per un’educazione all’umanità in una federazione
internazionale di popoli liberi. Per unità Salvemini
intendeva la collaborazione dei diversi che favorisse un clima di
tolleranza, la libera comunicazione e la ricerca, “scontro cortese
e sereno di pensieri diversi”. Compito principale della scuola per
Salvemini è educare l’alunno ad essere individuo libero e
pensante, non di insegnargli una dottrina. A fondamento della scuola
deve stare il rispetto degli alunni in vista del loro libero sviluppo
e non si può attuare questo suo compito sotto il controllo
ideologico delle chiese, dei partiti, della burocrazia.
Pironi:
L’approccio
metodologico di Salvemini ai problemi risulta fortemente empirista,
sperimentalista, antidogmatico: è intrinsecamente connaturato dal
senso di provvisorietà delle soluzioni avanzate, che non possono mai
considerarsi definitive. Proprio per il suo profondo realismo,
sostiene che “la storia non è fatta né dalle moltitudini inerti,
né dalle oligarchie paralitiche. La storia è fatta dalle minoranze
consapevoli e attive, le quali, vincendo le inerzie delle moltitudini
le trascinano verso nuove condizioni di vita, anche contro la loro
immediata volontà”. La sua preoccupazione fondamentale resta
insomma quella di formare una classe dirigente dall’alto profilo
morale, del tutto immune dall’utilitarismo spicciolo, volto al
tornaconto personale, tipico “degli specialisti dalle idee
ristrette e dai cuori aridi”, bensì nutrito dal “fuoco sacro”
del sapere, in vista dell’interesse collettivo, del bene pubblico.
Questa posizione si distingue da quella gentiliana: per il filosofo
attualista, la classe dirigente dovrà incarnare lo spirito della
Nazione, poiché “nella scuola lo Stato realizza se stesso, dunque
realizza quella libertà che è valore, selezione, gerarchia”,
eludendo quell’interazione tra scuola e società a cui si richiama
costantemente Salvemini in prospettiva democratica.
Nella prospettiva di
Salvemini è insomma tutta presente la lezione del suo maestro
Pasquale Villari, che aveva colto con drammaticità il difficile
percorso dell’unificazione nazionale. Emblematiche le parole di
quest’ultimo, espresse in una lettera confidenziale al suo amico
Roberto Ardigò, nel lontano 1872, che mi sembrano più che mai
attuali:
“..Mi parve di
vedere in Italia una gran macchina che girava a vuoto e tutti
occupati a migliorarla, a correggerne i difetti, senza avvedersi che
il difetto era non nella macchina, ma nella forza motrice, non nel
corpo, ma nell’anima a cui nessuno pensava..”.
Riferimenti
bibliografici essenziali
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L. Bellatalla, G.
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L. Borghi,
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L. Borghi, G.
Luzzato, P. Pieri, S. Spellanzon Gaetano Salvemini, Quaderni
n. 3, 4 Dicembre 1958, Trimestrale.
F. Frabboni, L’album
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T. Pironi, R.
Mondolfo, Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica
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2005.
T. Pironi, Roberto
Ardigò, il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato
unitario, Clueb, Bologna, 2000.
G.
Santarelli Appendice, pp 163-184 in F. Frabboni ( a cura di)
Idee per una scuola laica, Armando Armando, Roma ottobre 2007.
Tomasi-Catarsi-Ambrosoli-Genovesi-Ulivieri
Scuola e società nel socialismo riformista (1891-1926)
Sansoni Editore, Torino.
"Riforma della scuola" n°14
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