sabato 30 giugno 2012

Dialogo a due voci sull’eredità del Risorgimento e la scuola


Giuliana Santarelli,  in dialogo con Tiziana Pironi 

Santarelli:
Lo stato italiano, fin dalla sua nascita, eredita problematiche dal dibattito risorgimentale. Il Risorgimento trae origine dal movimento europeo di rinascita intellettuale e politica che prese forma nell’Illuminismo e nel Romanticismo. In questo periodo ebbero il via i primi tentativi dello spirito critico nei confronti dei fenomeni sociali, mentre le scoperte scientifiche consentirono agli uomini di conseguire un controllo prima solo pensato sulla natura, problema che si impose come cruciale per il tempo moderno. L’idea di avere più potenza per via dello sviluppo scientifico e che questo avrebbe potuto rappresentare un valore per tutti gli uomini, aprì la strada al tentativo di esserne consapevoli mediante la forza e l’azione del pensiero, mettendo da parte vecchie passioni e annose questioni più idonee a dividere anziché a sostenere uno sforzo comune. La ragione in questo momento appare una voce in campo etico per l’azione critica che si propaga anche verso le relazioni umane e le tradizioni culturali, per non alimentare lo iato già profondo fra tecnica e vita sociale, su cui la prima poteva avere la meglio. Il motto mazziniano Pensiero e azione sembrò indicare in Italia la necessità di riorganizzare il corpo sociale alla luce dei nuovi ideali.

Pironi:
Non va sottovalutato che il problema vero del Risorgimento è la formazione dell’unità nazionale e dunque di una coscienza nazionale. Proprio per questo si rivela di primaria importanza l’esigenza di costruire una classe dirigente. Infatti, per i liberali italiani senza classe dirigente non c’è coscienza nazionale, senza coscienza nazionale non c’è la nazione, senza la nazione non c’è una vita sociale. In questo momento, non dobbiamo dimenticare il decisivo apporto dei cattolici liberali, per i quali – basti pensare a Rosmini e a Gioberti – non vi è incompatibilità tra civiltà e religione, istituto religioso e istituto civile. Entrambi partecipano a una stessa vita ideale, data dai valori comuni e universali della civiltà cristiana. Ogni cambiamento non può che passare attraverso la formazione di una classe dirigente che, in quanto classe dei “migliori”, intesa come aristocrazia elettiva di talenti naturali, sappia assumere e mediare le opposte e molteplici istanze in una forma politica omnicomprensiva, rappresentata dall’istituto monarchico e dalla Chiesa. E’ infatti per loro fuori discussione che alla Chiesa debba essere assegnata una guida morale superiore quale espressione concreta e visibile del cristianesimo, che riassume l’unità ideale del mondo.
Comunque, per tutti i liberali il primo problema consiste nella formazione di una classe dirigente, che deve essere costruita tramite un’educazione/istruzione inevitabilmente elitaria. Basti ricordare le posizioni di Cavour e di De Sanctis, per i quali il popolo è immaturo per l’autogoverno: sono pertanto necessari due livelli di istruzione (elitaria e popolare), per cui la cultura popolare dovrà preparare esclusivamente i lavoratori a svolgere una funzione produttiva.
Per i democratici, invece - in modo particolare per Mazzini – è necessario porre la giusta dialettica fra diritti e doveri, onde attivare lo sviluppo della coscienza nazionale e civile. A giudizio dell’Apostolo genovese l’istanza universale della democrazia esige l’attuazione effettiva dell’uguaglianza politica e giuridica fra tutti i membri del consorzio civile, la quale esclude la preminenza del diritto individuale sul dovere collettivo. Consiste in questo la differenza fra lo “spazio pubblico” del repubblicanesimo rispetto allo “spazio privato” del liberalismo. Il che vuol dire che il dovere è mezzo al diritto: si ottiene il diritto solo realizzando fino in fondo il dovere.

Santarelli:
Le posizioni di Mazzini furono criticate da Carlo Cattaneo perché l’agitatore genovese sacrificava la libertà in nome del principio unitario rappresentato dalla nazione. Per Cattaneo, invece, l’unità non poteva essere separata dalla libertà. Cattaneo può essere considerato, infatti, il più radicale pensatore del liberalismo-democratico in Italia. Per questo il suo pensiero fu accolto dagli internazionalisti liberi da ogni teologia e desiderio di unità autoritaria. In merito alla legge Casati, fu Cattaneo a rivendicare la libertà accademica e l’autonomia organizzativa, vedendo al tempo stesso con favore le attività cooperative ai fini dello sviluppo delle “menti associate”.

Pironi:
Proprio richiamandosi alle istanze dell’autogoverno e della democrazia, Cattaneo rivendicava l’effettiva funzione sociale della scuola in favore dell’elevazione spirituale e materiale di tutti i cittadini. Per questo egli riprende le premesse illuministiche sviluppate da Romagnosi, nel considerare lo Stato un’entità giuridicamente “neutra”, che fra i suoi doveri principali ha quello di garantire la conquista dell’istruzione da parte di tutti, quale premessa fondamentale alla libertà personale.

Santarelli:
Giandomenico Romagnosi indicava nella società comunicante il compito principale dell’incivilimento, compito che fu affrontato nell’Ottocento sia sul terreno delle riforme scolastiche che su quello della trasformazione politica e sociale.
Gli asili infantili, il dibattito su una scuola pubblica elementare gratuita e obbligatoria, l’idea di un’istruzione tecnica secondaria accanto a quella classica e umanistica vanno considerati in stretto rapporto con lo sviluppo del movimento socialista e dell’organizzazione sindacale operaia. L’importanza assegnata all’educazione e alla cultura sta insieme a quella del valore e della dignità del lavoro e dei diritti della classe lavoratrice.
In senso lato, i socialisti erano persuasi che l’educazione popolare potesse eliminare il ruolo subordinato del lavoro del proletariato nella società. I compiti della trasformazione sociale e della conquista culturale vennero concepiti come interdipendenti; la rinascita intellettuale e spirituale della classe operaia fu legata alla sua partecipazione al movimento di emancipazione promosso dal socialismo. Questa è l’origine dello stretto rapporto tra cambiamento socio-politico e cultura popolare che continuerà nel tempo e accompagnerà più di una riforma e movimento culturale. La pura estensione del tempo libero non può porre un rimedio all’effetto svalutante che il lavoro ha sulla esistenza dell’operaio, che così non può accedere alla cultura e che deve contentarsi di surrogati.


Pironi:
Per i socialisti il primo problema non era quello della formazione di una coscienza nazionale e dunque della costruzione di una classe dirigente. La vera questione era per loro l’emancipazione universale del proletariato che, una volta realizzata, dissolverà ogni coscienza nazionale, ogni costruzione nazionale, ogni formazione statale. L’obiettivo da raggiungere era l’internazionale dei popoli e delle culture-civiltà, superando ogni barriera nazionale, ogni formazione statale (sono noti i celebri versi di Eugène Pottier, socialista-anarchico, per l’Internazionale: “C’est la lutte finale: / groupons-nous, et demain, / l’Internationale/ sera le genre humaine”). Di qui, fin da subito, la netta incompatibilità fra socialisti e liberali anche sui temi scolastici.

Santarelli
Nell’ultimo decennio del secolo diciannovesimo il socialismo era vissuto dalla classe dirigente italiana come una realtà minacciosa. Il Partito dei lavoratori italiani fu fondato a Milano nel 1891; l’anno seguente ci fu il congresso di Genova e nel congresso di Reggio Emilia, nel 1893, i socialisti definirono il loro programma, chiamandosi Partito socialista dei lavoratori italiani e nel ’94 Partito socialista italiano. Il periodo 1891-1900 si può definire il più grande per il partito socialista, che si battè contro la politica autocratica della monarchia e del governo. In quel periodo i socialisti rappresentavano l’avanguardia, il progresso, la difesa delle masse oppresse, la nuova cultura. Nel 1901, con l’avvento di Giolitti al potere, l’ala riformista del partito, capeggiata da Turati diede il proprio appoggio a una politica di riforme.
In merito al problema scolastico, i socialisti si limitarono a chiedere per la classe operaia un’istruzione elementare e post-elementare meglio organizzata che in passato; ma in questo modo essi collaborarono a mantenere a un basso livello la cultura popolare, conservando l’antica divisione di due classi sociali con stili di vita e educazione diversi. L’obiettivo è comunque quello di inserire l’opera educativa nella situazione culturalmente arretrata a lentissima evoluzione dell’Italia tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento.

Pironi:
In questo momento, all’interno del partito socialista si rivelano due “anime”, destinate a darsi sempre più battaglia fino ad aprire la strada al fascismo: da una parte la linea espressa dal riformismo turatiano, intenzionata a trovare una convergenza tra il proletariato e buona parte del ceto medio, favorevole a un vasto programma di riforme sociali; dall’altra, la linea espressa dal massimalismo che vede le forze lavoratrici e le forze intellettuali in forte antagonismo tra loro.
Sul piano delle riforme, non va però dimenticato il contributo dei socialisti per il miglioramento delle condizioni dell’istruzione di base; essi contribuiscono in modo determinante al passaggio della scuola elementare dalla gestione comunale allo Stato (Legge Daneo-Credaro, 1911); per non parlare della battaglia, condotta a più riprese, soprattutto da parte delle insegnanti socialiste, per il superamento della visione filantropico-caritatevole degli asili infantili, chiedendo il loro passaggio al Ministero della Pubblica Istruzione, nel pieno riconoscimento della loro funzione formativa.
In merito alla questione relativa all’interesse prevalente dei socialisti nei confronti dell’istruzione popolare e professionale, va rilevata la significativa posizione del filosofo marxista Rodolfo Mondolfo, che si oppose con forza a una scuola fondata sulla divaricazione tra due culture (popolare e aristocratica). Per questo, egli entrò nel vivo del dibattito scolastico, in età giolittiana, proponendo una scuola media unica, senza latino, valorizzata nella sua funzione formativa, aperta a tutti e non più differenziata in più indirizzi. La sua prospettiva, avanzata agli inizi del 900 anticipò la legge del 1962 sulla scuola media unica obbligatoria.

Santarelli
In queste vicende si mostra evidente la tradizione culturale laica italiana. L’esigenza di libertà ed autonomia sta insieme a quella dell’unità, dell’universalità, dell’internazionalismo. L’affermazione di un ideale politico e educativo unisce le istanze di unità e libertà, di universalità e autonomia e costituisce uno dei motivi più significativi del pensiero laico dopo l’Unità d’Italia. Sulla scia di Cattaneo, Gaetano Salvemini, sostenitore della libertà, ritiene che l’idea di “nazione” mazziniana la sacrifichi in nome del principio dell’unità. Salvemini, che riprende da Cattaneo l’idea che l’unità è fatta di diversi e non può separarsi dalla libertà, diede un forte contributo al dibattito scolastico in Italia, soprattutto all’interno della Federazione Insegnanti Nazionale Scuole Medie.
Agli inizi del secolo scorso gli insegnanti delle scuole secondarie si associano nella FINSM e rivendicano la loro autonomia in campo educativo e organizzativo. Ne fanno parte, tra gli altri, studiosi come Salvemini, i fratelli Mondolfo, Giovanni Gentile. Proprio questi afferma che “la scuola deve essere una, e uno il programma come uno è lo spirito”. Gentile pensava ad una scuola che favorisse nella mente dei suoi giovani una visione unica e comune del mondo, dove l’unità precede e condiziona la libertà, e trova nelle scuole classiche e nelle università il suo centro, rivolgendosi perciò non a tutti ma a pochi; al popolo invece si addice un’educazione impartita dalla religione e dalla Chiesa, che così prepara l’intervento dello Stato con le sue scuole. Così Gentile scrive in Scuola e filosofia (1908):
“Lo Stato ordinatore delle scuole dev’essere filosofo. Ad esso spetta l’ufficio di fissare il programma delle scuole, in cui si riflettono gli interessi generali della nazione. Lo Stato insegna perché è, e in quanto è Spirito…quello spirito che è assoluta universalità, negazione di ogni arbitrio e volere neutrale”.
Secondo questa concezione lo Stato è coscienza della nazione e assume attributi etici. Di fronte allo Stato e al Governo che lo rappresenta, l’individuo non ha diritti, deve soltanto obbedire e credere. Per contro, Gaetano Salvemini riaffermava, sulla scia di Cattaneo, il metodo della ricerca scientifica, l’educazione alla libertà, l’autonomia amministrativa e didattica della scuola. Una scuola libera da ogni dogmatismo e profondamente laica si poneva come la base per un’educazione all’umanità in una federazione internazionale di popoli liberi. Per unità Salvemini intendeva la collaborazione dei diversi che favorisse un clima di tolleranza, la libera comunicazione e la ricerca, “scontro cortese e sereno di pensieri diversi”. Compito principale della scuola per Salvemini è educare l’alunno ad essere individuo libero e pensante, non di insegnargli una dottrina. A fondamento della scuola deve stare il rispetto degli alunni in vista del loro libero sviluppo e non si può attuare questo suo compito sotto il controllo ideologico delle chiese, dei partiti, della burocrazia.

Pironi:
L’approccio metodologico di Salvemini ai problemi risulta fortemente empirista, sperimentalista, antidogmatico: è intrinsecamente connaturato dal senso di provvisorietà delle soluzioni avanzate, che non possono mai considerarsi definitive. Proprio per il suo profondo realismo, sostiene che “la storia non è fatta né dalle moltitudini inerti, né dalle oligarchie paralitiche. La storia è fatta dalle minoranze consapevoli e attive, le quali, vincendo le inerzie delle moltitudini le trascinano verso nuove condizioni di vita, anche contro la loro immediata volontà”. La sua preoccupazione fondamentale resta insomma quella di formare una classe dirigente dall’alto profilo morale, del tutto immune dall’utilitarismo spicciolo, volto al tornaconto personale, tipico “degli specialisti dalle idee ristrette e dai cuori aridi”, bensì nutrito dal “fuoco sacro” del sapere, in vista dell’interesse collettivo, del bene pubblico. Questa posizione si distingue da quella gentiliana: per il filosofo attualista, la classe dirigente dovrà incarnare lo spirito della Nazione, poiché “nella scuola lo Stato realizza se stesso, dunque realizza quella libertà che è valore, selezione, gerarchia”, eludendo quell’interazione tra scuola e società a cui si richiama costantemente Salvemini in prospettiva democratica.
Nella prospettiva di Salvemini è insomma tutta presente la lezione del suo maestro Pasquale Villari, che aveva colto con drammaticità il difficile percorso dell’unificazione nazionale. Emblematiche le parole di quest’ultimo, espresse in una lettera confidenziale al suo amico Roberto Ardigò, nel lontano 1872, che mi sembrano più che mai attuali:
“..Mi parve di vedere in Italia una gran macchina che girava a vuoto e tutti occupati a migliorarla, a correggerne i difetti, senza avvedersi che il difetto era non nella macchina, ma nella forza motrice, non nel corpo, ma nell’anima a cui nessuno pensava..”.

Riferimenti bibliografici essenziali

M. Baldacci, S. Bucchi, F. Cambi, C. G. Lacaita, T. Pironi, Gaetano Salvemini e la scuola, Lacaita, Manduria, 2009.
L. Bellatalla, G. Genovesi, E. Marescotti La scuola in Italia tra pedagogia e politica (1945-2003) Franco Angeli. Milano 2004.
L. Borghi, Educazione ed autorità nell’Italia moderna, La Nuova Italia, Firenze, 1951.
L. Borghi, G. Luzzato, P. Pieri, S. Spellanzon Gaetano Salvemini, Quaderni n. 3, 4 Dicembre 1958, Trimestrale.
F. Frabboni, L’album di famiglia della nostra scuola, in Quaderni. Periodico del Gruppo Consiliare Democratici di Sinistra-Emilia Romagna, n.3, 29 giugno 2010.
E. Garin, Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l’unità, De Donato, Bari, 1983.
D. Marchi, La scuola e la pedagogia del Risorgimento, Loescher, Torino, 1985.
T. Pironi, R. Mondolfo, Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica dagli inizi del ‘900 alla riforma Gentile, Lacaita, Manduria, 2005.
T. Pironi, Roberto Ardigò, il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, Clueb, Bologna, 2000.
G. Santarelli Appendice, pp 163-184 in F. Frabboni ( a cura di) Idee per una scuola laica, Armando Armando, Roma ottobre 2007.
Tomasi-Catarsi-Ambrosoli-Genovesi-Ulivieri Scuola e società nel socialismo riformista (1891-1926) Sansoni Editore, Torino.

"Riforma della scuola" n°14



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